Scritto a matita
foto di Roberto Venegoni
Tutta la levità di uno scritto a matita
di Lucia Mieli
Guardando “Scritto a matita” si è investititi dall’impressione che si ha ascoltando un monologo in una lingua sconosciuta: nel fluire misterioso dei movimenti, si individuano vocaboli, rimandi, significati, pause, e ci pare di cogliere il senso, pur non conoscendo le parole.
Così il gesto, sempre evocativo e significante della bravissima Erica Giovannini, si compone in una danza soave, lieve, narrativa in cui tutto è legato da un filo analogico di cui si intuisce la forza connettiva, ma che sfugge a qualsiasi comprensione che voglia essere solo mentale e non di sentimento.
L’attrice/danzatrice porta in scena, trascritta dal filtro labile e trasformante del ricordo, la vicenda di Nastjenka, personaggio minore de “Le notti bianche” ripercorrendo con tocchi “d’acquerello” le alterne vicende che la porteranno a bussare alla porta dell’uomo di cui si è innamorata e da cui è destinata ad essere abbandonata.
Il personaggio, le situazioni, le vicende, si trasformano in una partitura fisica di gesti e passi stilizzati ma armoniosi e significanti, come parole di un lessico visivo: la nonna viene sempre evocata dal gesto di cotonarsi i capelli, l’uomo dai passi pesanti degli stivali, un nastrino tra i capelli si trasforma nello svolazzo della mano, i pensieri non detti vengono offerti come uccellini al volo.
L’intero spettacolo è come animato da una levità che rimanda alla neve, citata più volte a tratteggiare il freddo paesaggio russo della vicenda e infine e portata in scena nel commuovente finale di grande impatto visivo.
Complici le bellissime musiche popolari ungheresi e russe e la travagliata interiorità dei pensieri recitati in voice-over da Gyula Molnàr, tratti da Le Notti Bianche e Povera gente di Dostoevskj, Dottor Zivago di Pasternak e Elogio alla durata di Handke, “Scritto a matita” stupisce anche per la grande intimità che la Giovannini riesce a creare col pubblico, concedendosi davvero in un rapporto fatto di sguardi, gesti, movimenti che ci mettono davanti tutta la fragile bellezza dell’umano.
Scritto a matita
di e con Erica Giovannini
danza e regia di Erica Giovannini
voci di Gyula Molnàr e Aram Ghassemy